Bibanesi e Slow Food per coltivare un sogno: 10.000 orti in Africa.

L’Africa è un continente sterminato, con 55 stati e circa 960 milioni di abitanti che parlano oltre 2000 lingue. Alla varietà di popoli e di culture si affi anca una straordinaria ricchezza di biodiversità. Un terzo del continente è desertico ma dalla Siria fino al Mozambico, lungo i 6000 chilometri della faglia della Rift Valley, si trovano alcuni degli ecosistemi più interessanti del mondo: come quello del lago Vittoria, il più grande lago africano, o del gruppo montuoso del Kilimangiaro.
In Africa, pochissimi hanno lavorato per valorizzare questa biodiversità. Slow Food parte da lì, da quell’universo sconosciuto ai più ma di grande valore per i popoli africani: la nostra organizzazione propone un modello di sviluppo endogeno che non parte da modelli esterni ma che prende origine dalla storia e dalle caratteristiche del continente stesso. Al centro ci sono le
persone, attori e protagonisti delle azioni, dei progetti. Il percorso di questo sviluppo è molto più lungo, più faticoso, ma è facilitato e rigenerato continuamente dalla rete: comunità, orti, Presìdi, condotte, soci, altre associazioni che condividono la stessa filosofia.
I coordinatori nazionali di Slow Food nel corso degli ultimi anni si sono incontrati in diverse occasioni per decidere cosa e come coltivare. E hanno proposto soluzioni attente a ogni contesto: dalle oasi marocchine alle terre aride del Mali, dagli altopiani del Kenya alle foreste ugandesi. Non si tratta infatti di orti tutti uguali.
Le comunità producono i propri semi, coltivano i prodotti tradizionali (ortaggi, legumi, frutta, erbe aromatiche e medicinali), usano rimedi naturali per fertilizzare il terreno, per combattere insetti nocivi ed erbe infestanti.
Un altro grave fenomeno che sta depredando l’Africa è l’accaparramento delle terre (land grabbing). Secondo l’International Land Coalition questo fenomeno – che è in crescita esponenziale – interessa nel mondo oltre 80 milioni di ettari di terreni fertili. Una superfi cie che corrisponde a tre volte il territorio italiano, quindi, è stata ceduta negli ultimi anni a multinazionali,
fondi sovrani, organismi fi nanziari. Più della metà dei casi di land grabbing registrati si verifi cano in Africa subsahariana.
Con i Presìdi, i Mercati della Terra e il progetto dei 10.000 orti in Africa, Slow Food promuove il diritto alla sovranità alimentare delle comunità locali.
Gli strumenti del riscatto africano sono questi: la conoscenza del proprio patrimonio di varietà, di razze locali, di prodotti agroforestali, la valorizzazione della gastronomia africana che ha mille sfaccettature. I 10.000 orti rappresenteranno questo riscatto.

I numeri di Slow Food in Africa

Mille… diecimila orti in Africa

Senza dubbio, se paragonato alla gravità e alla complessità della perenne crisi che attanaglia il continente africano, l’atto di coltivare un orto sembra un gesto piuttosto insignifi cante. Ma se gli orti diventano 10.000 e se, attorno a questi, nascono reti di contadini, agronomi, studenti e cuochi in oltre venti Paesi, allora questi piccoli progetti possono indicare la strada verso un futuro sostenibile, attento ai bisogni delle comunità locali, svincolato dal disegno imposto dalle grandi istituzioni finanziarie internazionali (che stanno promuovendo coltivazioni destinate all’esportazione e sistemi agricoli basati sull’uso massiccio di fertilizzanti chimici) e dagli investitori stranieri (che si stanno accaparrando le terre più fertili in cambio di pochi spiccioli).
Qualche anno fa, in occasione di Salone del Gusto e Terra Madre 2010, insieme ai delegati della rete africana, abbiamo lanciato i primi semi del progetto. Con un obiettivo ambizioso: realizzare 1.000 orti per rappresentare concretamente la filosofi a Slow Food nel continente africano. Orti che coinvolgessero i giovani, e si basassero sul sapere degli anziani.
Aule scolastiche all’aria aperta: per conoscere e valorizzare il cibo locale; per condividere esperienze e conoscenze; per promuovere il cibo buono, pulito e giusto. Un obiettivo ampiamente raggiunto, da un lato grazie al lavoro di migliaia di comunità, scuole e persone; dall’altro grazie al sostegno di altrettante migliaia di persone, condotte Slow Food, aziende, scuole ed enti di tutto il mondo.
Roba, Edie, John, Ben, Sara, Aurelia, Abdon sono solo alcuni dei nomi grazie ai quali crediamo di essere pronti per una sfida ancora più grande: moltiplicare il lavoro fatto finora dieci volte e arrivare a 10.000 orti in Africa.
 
Ma che significato ha questo numero?
Un numero che Carlo Petrini, durante il Congresso internazionale di Slow Food (Torino, 26-28 ottobre 2012), ha indicato addirittura come uno dei tre obiettivi strategici di tutta l’associazione (e non solo quella africana!) per i prossimi 4 anni (insieme alla difesa della biodiversità e al rafforzamento della rete).
Dietro questo zero in più c’è anche e soprattutto una proposta politica. Fare 10.000 orti signifi cherà avere, entro il 2016, una rete di giovani leader africani che lavoreranno e guideranno a pieno titolo (politico, strategico e operativo) il movimento di Slow Food in Africa. Leader coscienti del valore della loro terra, leader attivi che difendono il loro patrimonio. Il patrimonio africano.

Un orto Slow Food è un orto diverso

L’orto Slow Food vuole creare, insieme alle comunità locali, modelli concreti di agricoltura sostenibile, attenti alle diverse realtà (ambientali, sociale culturali) e facilmente replicabili.
In Africa abbiamo realizzato:
• orti scolastici: coltivati dagli alunni insieme agli insegnanti
• orti comunitari: gestiti da una comunità che condivide il lavoro e il raccolto
• orti familiari: gruppi di orti gestiti da famiglie, che fanno parte di una comunità
L’orto Slow Food si sviluppa secondo la filosofi a del buono, pulito e giusto.
 
Un orto buono
• garantisce prodotti freschi e genuini
• valorizza i prodotti locali
• salvaguarda le ricette tradizionali
• produce trasformati di qualità (nelle stagioni in cui ci sono prodotti in eccedenza)
 
Un orto pulito
• rispetta l’ambiente
• utilizza in modo sostenibile suolo e acqua
• tutela la biodiversità
 
Un orto giusto
• è un’esperienza comunitaria, che riunisce generazioni diverse e contesti sociali diversi (insegnanti, studenti e contadini)
• promuove le conoscenze e le competenze degli agricoltori, in modo da migliorare la loro autonomia e la loro autostima
• favorisce la sovranità alimentare, dando alle comunità la possibilità di scegliere cosa coltivare e mangiare
 
L’approccio si ispira ai principi dell’agroecologia. Si basa infatti sulla conoscenza dell’agricoltura locale, sull’applicazione di tecniche (tradizionali e moderne) adatte alle diverse condizioni agro-pedo-climatiche, sulla corretta gestione delle risorse naturali (biodiversità , suolo, acqua), sull’equità sociale. A differenza dell’approccio agronomico convenzionale, l’agroecologia mette in evidenza l’importanza della biodiversità , di una corretta gestione di suolo e acqua, dell’interazione tra produzioni vegetali, animali, suolo.
Ogni orto Slow Food non è un progetto a sé stante, ma si inserisce nella comunità come esperienza di condivisione. Offre la possibilità a diverse generazioni di incontrarsi, di scambiare conoscenze, di rafforzare lo spirito di solidarietà e di amicizia.
 
Per ulteriori informazioni: www.fondazioneslowfood.it